Film e bloghi

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Convento san Bernardino Sinalunga: https://www.youtube.com/watch?v=Vv8fCC8wnmQ
GiFra: https://www.youtube.com/watch?v=Z6NOhw-62Uc
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L’Angelus delle campane del Santuario: https://www.youtube.com/watch?v=_00EkAxYA3w
Sinalunga: https://www.youtube.com/watch?v=NxQ4DwBaung
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Convento san Bernardino Sinalunga: https://www.youtube.com/watch?v=Vv8fCC8wnmQ

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Venerabile fra Pellegrino Boni

Venerabile fra Pellegrino Boni

Abbiamo già dato notizia dell’inizio del processo di canonizzazione di fra Pellegrino, frate minore francescano, avvenuta il 7 dicembre 2015, vigilia dell’Immacolata, nella chiesa conventuale di S. Bernardino a Sinalunga, da parte del Vescovo delle Diocesi di Montepulciano, Chiusi e Pienza, Stefano Manetti.

Alla solenne Concelebrazione eucaristica hanno partecipato il Vescovo di Grosseto Rodolfo Cetoloni, il Parroco di Badia Tedalda, quello delle Balze, vari parroci della zona, P. Crisostomo, superiore attuale del Convento di S. Bernardino, P. Ugo e i delegati del Ministro Provinciale di Toscana, fra Massimo e fra David.

In questo articolo vogliamo farvi conoscere alcuni aspetti della figura e della vita di fra Pellegrino, vero testimone dello spirito francescano nel nostro tempo.

Fra Pellegrino, al battesimo Sante, nasce il 7 dicembre del 1898 a Viamaggio, nel comune di Badia Tedalda, in provincia di Arezzo e diocesi di Sansepolcro, da Antonio e Bini Geltrude. Crebbe in una famiglia che osservava i propri doveri religiosi in modo esemplare. Con i genitori e i fratelli, lavorava d’amore e d’accordo la terra di un podere a mezzadria prima nel paese nativo, poi a Colorio, piccola frazione delle Balze, in provincia di Forlì. Sante aveva un carattere riservato e poco incline a partecipare con gli amici al chiasso e ai giochi nelle feste paesane. Fece il servizio militare durante la guerra del 1915-18. Tornato in famiglia continuò nel lavoro dei campi, ma presto incominciò a sentire l’attrattiva verso la vita religiosa francescana. Ne parlò con i genitori e col parroco. Il 15 aprile del 1926 si recò al Santuario della Verna, dove fu accolto fraternamente dal P. Guardiano e dalla comunità. Trascorso un anno in questo Convento, tanto caro a S. Francesco, chiese al Superiore di poter fare il Noviziato, come fratello laico. La sua richiesta fu accolta e il 12 agosto del 1927 fu accompagnato al Convento di ritiro dell’Incontro, presso Firenze, dove vestì il saio francescano e fece l’anno di Noviziato, al termine del quale fu ammesso alla Professione temporanea.

Terminato il Noviziato i Superiori lo inviano nell’Infermeria di Fiesole, dove fra Pellegrino esercita con vero senso di fraternità il servizio di assistenza ai frati anziani e malati. Ma dopo pochi mesi, il 13 gennaio del 1929, l’obbedienza lo porta al Convento di S. Bernardino a Sinalunga con il compito di cuoco e di fornaio per la numerosa comunità religiosa, poiché vi erano anche gli studenti del primo anno di Teologia. Nel 1935 ebbe l’incarico di fare il questuante, un compito umile e gravoso, ma necessario per il sostentamento della comunità religiosa. Fra Pellegrino avrebbe preferito continuare nell’incarico precedente, che gli permetteva di vivere pienamente la vita di fraternità nella preghiera, nel raccoglimento e nel silenzio, ma accettò senza obbiezioni il nuovo incarico, che eserciterà per 40 anni, “bussando di porta in porta” secondo lo spirito della regola francescana, per sopperire alle necessità dei frati, soprattutto durante il periodo della II guerra mondiale; per la sua solerzia i generi di prima necessità non mancarono mai al suo convento. La testimonianza di tanti frati, di tanti parroci e di tanta gente del popolo, che incontrarono fra Pellegrino in questo suo peregrinare fra le terre di Sinalunga, Lucignano, Marciano, Torrita, Trequanda, S. Giovanni d’Asso, Asciano e Rapolano, ci dice che questo “fraticello da cerca” esercitò il suo ufficio con umiltà, senso di servizio e spirito di evangelizzazione nell’incontro con famiglie e persone, tanto che anche in tempi politicamente difficili e di contrasti sociali, come quelli del dopoguerra, egli fu sempre accolto come una benedizione di Dio, per la sua umiltà e mitezza. Passava molto tempo fuori convento, ma il suo cuore era sempre nella fraternità; ogni volta che era nella possibilità materiale, faceva di tutto per ritornare al convento, per partecipare alla Messa, alla preghiera e alla vita di comunità. Era molto devoto alla Madonna del rifugio, che si venera in una Cappella della Chiesa del convento: ogni giorno, alzandosi alle ore cinque, vi sostava a lungo in preghiera e meditazione.

Il 10 luglio del 1990, fra Pellegrino ormai novantunenne, mentre alle ore 5,15 si recava in Chiesa a pregare, come era solito fare ogni giorno, cadde per le scale del convento e si fratturò il braccio e la clavicola; portato all’ortopedico di Chiusi, fu visitato dal P. Provinciale, che credette opportuno farlo ricoverare all’Infermeria di Fiesole per le cure necessarie; ma sopraggiunsero delle complicazioni, che in pochi giorni lo condussero alla fine. Morì il 29 luglio alle ore 22 e 40, per collasso cardiocircolatorio: tre giorni prima si era confessato, in piena conoscenza ricevette l’Unzione degli infermi, circondato dall’amore e dal dolore dei frati e infermieri. P. Leonardo Zanelli, responsabile della Infermeria, ebbe a dire: “fra Pellegrino era un santo in vita, è stato un santo anche nella malattia. Si era davanti ad un’anima rara per doti spirituali. Non era un religioso ordinario: era un’altra cosa… “ Certamente voleva dire: era un santo!

Noi ci domandiamo il perché, che è poi la ragione per cui è stato dato inizio al processo di beatificazione. Perché fra Pellegrino è stato uno di quei frati, di cui san Francesco diceva: “ne avessi di questi frati!” Cioè vero frate minore, umile e povero, obbediente fino a prevenire la volontà dei superiori, custode della santa purezza del corpo e dello spirito, amante della vita fraterna e della preghiera, osservante fino allo scrupolo della regola francescana, che volle fortificare fin dal Noviziato con propositi scritti, con elegante calligrafia, in un quadernetto, trovato nella sua cella dopo la morte e ai quali si attenne per tutta la vita e che riguardavano impegni di preghiere quotidiane, di pratiche settimanali, di mortificazioni esterne, di atteggiamenti interiori da raggiungere e da tenere di fronte a Dio, ai fratelli, a tutte le persone che incontrava. Voglio trascriverne solo uno, ma molto significativo: “per mantenere la pace interna e spirito d’amore fervente mi prefiggo di osservare queste cose: essere morto al mondo, alle creature e a me medesimo e a tutto ciò che non è di Dio io debba stimarlo meno di un granello di arena. Vivere abbandonato tra le braccia della provvidenza e tutto ciò che succede nella giornata o piccolo o grande o propizio o avverso attribuirlo sempre alle disposizioni della Divina Provvidenza tenendo per certo che è il miglior modo e il più conveniente sia per la gloria di Dio che per la mia salute. Amare il patire sia nell’interno o nell’esterno”. Fra Pellegrino può certo essere additato ad esempio per ogni figlio di San Francesco e per ogni cristiano. Fra le tante persone e famiglie che incontrava nel servizio di questuante seppe diffondere, con semplicità di parola e con l’esempio della vita, la buona parola del Vangelo e la letizia francescana. Tutti quelli che lo hanno conosciuto e incontrato lo hanno stimato un santo. Ora il loro desiderio è che sia riconosciuto tale anche dalla Chiesa. Termino riportando una bella testimonianza lasciataci da Don Icilio Rossi, già Vicario generale della Diocesi di Montepulciano. “ E’ certamente vero che l’autentica sapienza nasce e cresce soltanto nel terreno dell’altrettanta autentica semplicità. Poi dalla semplicità alla povertà, per vivere la disponibilità fraterna. Siamo nello spazio voluto da San Francesco! Mi sembra che proprio per questo fra le tante considerazioni che possiamo fare sulla personalità di fra Pellegrino, ce n’è una che è la più importante perché egli stesso l’ha considerata tale e sempre desiderata: essere fino allo scrupolo, fedele figlio di S. Francesco!”

PREGHIERA per la beatificazione di Fra PELLEGRINO

Onnipotente Dio che, per mezzo del tuo Figlio incarnato, hai promesso l’esaltazione degli umili di cuore, per l’intercessione della Madonna del Rifugio, degnati di glorificare qui in terra con gli onori degli altari il tuo Servo fra Pellegrino, concedendoci la grazia che Ti chiediamo… Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre…

Santa Teodora

Santa Teodora

Le notizie della Cronaca dei frati non sono molto chiare descrivendo la storia delle reliquie di Santa Teodora, ma cronologicamente si potrebbe segnalare questo percorso:

Nel 1679 si inizia a parlare della presenza del corpo di S. Teodora nella chiesa dei Frati e delle tre chiavi regalate per l’apertura dell’urna della Santa alla Comunità di Sinalunga, una al Convento dei Frati e una ad una famiglia del posto.

In un altro passo la Cronaca parla che il corpo della Santa fu portato in modo solenne dalle catacombe romane e regalato al convento tramite frate Giuseppe di Sinalunga dalla duchessa Isabella Massimi Muti il giorno 29 settembre 1680 e prima esposto alla venerazione sull’altare maggiore della chiesa di s. Bernardino a Sinalunga.

Nell’anno successivo – 1681 si parla di nuovo di una copia delle chiavi regalata al Comune, Convento e a p. Giuseppe.

Nel 1694 l’urna con il corpo di santa Teodora, martire, viene chiusa nella nicchia sotto l’altare maggiore, alla presenza delle autorità giuridiche, comunali e conventuali.

I privilegi ricevuti per la presenza del corpo della Santa nella chiesa dei frati si racchiudevano nella possibilità di aprire l’urna alla venerazione nelle feste di Natale, di Pasqua, di Tutti i Santi, dal 1 al 2 agosto e durante la novena a Santa Teodora (che attualmente si celebra il triduo, prima della sua memoria il 28 novembre).

La Santa è invocata dai fedeli nelle cause difficili. (Fonte: la Cronaca dei Frati vol. I).

PREGHIERA a Santa TEODORA per ottenere una grazia speciale:

O Santa Teodora, gloriosa martire della Chiesa Cattolica, che nel dispensare le misericordie divine fosti prescelta a porgere pronti ed efficaci aiuti nei bisogni più gravi, volgi uno sguardo su di me che vengo ad implorare il tuo soccorso con la fiducia di essere esaudito.

Interponi, o grande Santa, la tua mediazione presso il trono di Dio e di Maria, ed ottienimi gli aiuti necessari per conseguire la mia salvezza eterna e la grazia speciale …… se Dio desidera concedermela. Mi riconosco indegno dei suoi favori per le molte offese che ho arrecato alla sua divina maestà, ma ora sono pentito, le detesto con tutto il cuore, e tutto spero della sua misericordia per l’intercessione di Maria e con il tuo patrocinio. Quale attestato della mia riconoscenza per la grazia che imploro, ti prometto o mia amabilissima protettrice di …… (ognuno secondo la propria possibilità, prometta di fare qualche opera buona).

– 3 Pater, Ave, Gloria

PREGHIERA a Santa TEODORA per la grazia ricevuta:

O nostro Dio, sii infinitamente ringraziato perché per i meriti di Gesù Cristo e per l’intercessione del martire Santa Teodora Ti sei degnato di accogliere le nostre umili preghiere e di accordarci la grazia implorata. Sii mille volte benedetta, o santa Martire. Ti prego, continua a sostenere la causa della nostra salvezza; vieni ogni giorno in nostro aiuto, dacci la forza di combattere i nemici, allontana dal nostro cuore la benché minima offesa a Dio, accendici del suo santo amore, e nell’ora della nostra morte accompagnaci all’eterna felicità. Amen.

– 3 Pater, Ave, Gloria

San Donnino

San Donnino

All’inizio del viale che apre al piazzale del santuario è collocata la cappella dedicata a san Donnino. Il 9 ottobre la Chiesa Cattolica celebra la memoria di san Donnino di Fidenza, martire vissuto nella seconda metà del III secolo in Emilia. Le notizie sulla vita di san Donnino sono scarse e frammentarie. Quel che si sa con sicurezza riguarda il suo martirio avvenuto nei pressi di Fidenza il 9 ottobre dell’anno 299. Secondo la tradizione, san Donnino era ufficiale dell’imperatore Massimiliano. Al seguito dell’imperatore, che era anche un valente condottiero, san Donnino aveva combattuto per diversi anni in vari fronti del continente europeo, soprattutto sul Reno e sul Danubio contro le popolazioni germaniche che tentavano di introdursi nell’impero per saccheggiarne le ricche città.

Nel corso delle sue campagne militari, san Donnino entrò in contatto con alcuni cristiani: anziché denunciarli o ucciderli – come era lecito aspettarsi da un famoso ufficiale della guardia imperiale –  decise di proteggerli, prima mantenendo il silenzio e in seguito avvicinandosi alla loro fede. Poco a poco, san Donnino conobbe anche altri commilitoni di religione cristiana, che gli predicarono la vera Fede e lo introdussero ai sacramenti. San Donnino venne sicuramente battezzato negli anni novanta del III secolo. Pochi anni dopo la sua conversione, venne denunziato da alcuni compagni d’armi, probabilmente invidiosi delle decorazioni che questi aveva conquistato per il suo grande valore in battaglia. San Donnino venne interrogato dai suoi superiori per verificare la sua fede cristiana. Nonostante il suo comandante gli avesse suggerito di mentire per concludere l’inchiesta senza conseguenze, san Donnino proclamò la sua fede cristiana e lasciò l’accampamento dove era acquartierato il suo reparto.

Il comandante della legione ordinò ai soldati di catturare Donnino e di imprigionarlo per sottoporlo al giusto castigo. San Donnino venne bloccato dai suoi antichi compagni d’arme sulle rive del fiume Stirone (una affluente del Taro), nei pressi di Fidenza. Vistosi impossibilitato a guadare il corso d’acqua, san Donnino si dispose a consegnarsi ai suoi antichi commilitoni, che però preferirono evitargli l’umiliazione di un supplizio pubblico e lo decapitarono con un solo fendente. L’iconografia tradizionale rappresenta san Donnino decapitato, mentre regge tra le mani la testa spiccata dal busto.

Il corpo del santo venne sepolto nei pressi di Fidenza. Pochi anni dopo la morte, il corpo di san Donnino venne inumato all’interno alla cattedrale cittadina, in una bara d’argento collocata nella cripta, al di sotto dell’altare maggiore.

È patrono di Fidenza e viene invocato a protezione contro i morsi di vipera e gli attacchi di cani rabbiosi. Inoltre, soprattutto a causa della presenza del suo santuario lungo l’antica Via Francigena, san Donnino è divenuto nel Medioevo uno dei principali protettori di viandanti e pellegrini al fianco di san Bernardo e san Giacomo. Nell’epoca moderna viene invocato anche contro incidenti stradali.

Icona della Madonna del Rifugio

Icona della Madonna del Rifugio

Si tramanda che l’icona venerata a Sinalunga, presso il Convento di San Bernardino: la “Madonna del Rifugio” sia appartenuta al Beato Pietro da Trequanda che l’avrebbe donata al convento.

Una leggenda parla che quello sarebbe il ritratto che l’evangelista S. Luca avrebbe fatto alla Madonna e che Pietro l’avrebbe portato a Sinalunga da un suo viaggio a Gerusalemme nel 1420. Non si ha notizia di alcun viaggio del Beato in Terrasanta tanto più che lo stesso era poco più che un bambino.

Molto più probabile è che Pietro possedesse questa splendida immagine in cartapecora, attribuita a Sano di Pietro e che nell’anno 1460 l’abbia donata a Giovanni da Capistrano per il Convento di Santa Maria che questi aveva fondato nell’anno 1449 nel “Poggio di Baldino presso Asinalonga”.

Quell’icona fu venerata e invocata non solo dagli abitanti del luogo ma dai popoli della Valdichiana e della Toscana.

Fu portata in processione per le vie di Sinalunga in numerose occasioni; nel 1668 per placare una terribile influenza che mieteva molte vittime, nel 1696 le fu attribuita la cessazione di un terribile terremoto.

La Madonna del Rifugio fu incoronata dal Capitolo di San Pietro il 6 settembre 1793; fu anche benedetta dal papa Pio XII e proclamata patrona della diocesi di Montepulciano, Chiusi e Pienza dal Vescovo Monsignor Alberto Giglioli.

PREGHIERA alla MADONNA del RIFUGIO

Maria Santissima del Rifugio, Vergine Santissima, che portate nel vostro bel titolo il ricordo e la promessa di tante grazie, eccoci con piena confidenza ai vostri piedi. Quante volte, Maria, avete impetrato la sanità, la pioggia o il sereno alle preghiere dei popoli da Voi protetti! Impetrate anche la salute ed il sereno delle anime nostre tenendo lungi da noi la tempesta del peccato. Mostratevi sempre rifugio dei peccatori e siateci specialmente rifugio nell’ora della morte acciocché l’anima spirando nelle vostre braccia sia raccolta da quelle di Gesù in paradiso. Amen.

Beato Pietro da Trequanda

Beato Pietro da Trequanda

Pietro Fratangioli nacque a Trequanda nel podere Invidia verso l’anno 1410/15 ed all’età di 9 anni, infiammato dall’amore divino, andò ad Asciano presso il convento dei frati francescani per farsi Conventuale.

Il padre recatosi a riprendere il figlio inveì duramente contro i frati con offese e cattive parole. Pietro tornò all’Invidia, ma salendo le scale, improvvisamente diventò cieco.

Il padre comprese che la vita, la luce degli occhi, del cuore e della mente, per il fanciullo erano lontano da lì, nel convento, nella regola di San Francesco. L’uomo, spaventato, si inginocchiò e pregò con fervore Dio che ridonasse la vista al piccolo che infatti la riprese. Il padre lo riportò ai frati e gli mise di propria mano l’abito francescano.

Novizio modello e grande studioso divenne un predicatore eccellente ed incisivo.

Ad Asciano si meritò la stima dei frati che lo vollero guardiano e qui vi rimase sino al 1440, anno in cui incontrò San Bernardino, in viaggio verso Napoli.

Il Santo lo condusse al convento degli osservanti francescani presso l’Isola Maggiore del lago Trasimeno ove rimase, in eremitaggio, per diciassette anni.

Il Beato Pietro fu un vero osservante, secondo lo spirito di San Francesco e di San Bernardino: abbracciò con slancio e praticò per tutta la vita la povertà, la castità e l’obbedienza.

Lasciato il Trasimeno si recò probabilmente all’ Osservanza a Siena: i senesi lo amarono molto e avrebbero desiderato che non si allontanasse mai dalla loro città. Predicò più volte nelle piazze principali di Siena riportando la pace nella città divisa da lotte intestine.

Vocato ad un apostolato itinerante, tuttavia, non rifiutò mai, per la santa obbedienza, di assumere incarichi che lo tennero occupato per lunghi anni in diversi conventi: a San Cerbone presso Lucca, all’ eremo del Colombaio di Seggiano, presso Grosseto.

IL convento di San Francesco di Cetona fu uno dei luoghi più amati dal Beato e lì vi si ritirò sapendo che la morte bussava alla sua porta.

Volle la cella più povera: parco nel cibo e nel bere . Pativa molte infermità: renella, dolori di testa, fegato ed insonnia; per quarant’anni aveva dormito solo due ore per notte e raramente si stendeva nel letto a foggia di pagliericcio.

La sua giornata a Cetona era scandita dalla preghiera e dalla contemplazione; per quasi tutta la notte rimaneva in orazione piangendo copiosamente.

Invitato dal vicario a coricarsi in posizione più comoda e riposare il Beato rispose “Figliolo, quando tu mi vedrai mettermi a giacere, apri pure la sepoltura perché sarò vicino a morte”.

La morte lo colse a Cetona il 17 gennaio 1492 dopo la recita di mattutino. Il corpo inumato fu messo nel muro della Chiesa del convento di San Francesco.

Il 18 aprile 1752 i resti mortali del Beato Pietro furono traslati dalla mensa dell’altare maggiore (posti il 3 aprile 1623) in un’urna di legno dorata e parte di queste ossa distribuite a diverse chiese e specialmente a quella di Trequanda.

Nelle sue prediche non mancò di rivolgersi ai potenti per invitarli al buon governo, pena dolorose capitolazioni. Durante le epidemie di peste riusciva, meditando e pregando, a consolare gli infermi e a tranquillizzare i sani predicendo guarigioni che si verificavano puntualmente.

Fece previsioni che poi si rivelarono esatte: previde il ritorno dei Noveschi a Siena, cacciati nel 1483 e tornati effettivamente al potere nel 1487 , ebbe una visione in cui vide il re Carlo VII che occupava la penisola italiana, predisse alla sua nipote la malattia e il giorno della morte di una sua figlia, disse alle religiose del convento di Pistoia, dove era confessore, che solo sette di loro sarebbero morte a causa della pestilenza, e così avvenne.

Questi sono solo alcuni esempi che le cronache ci tramandano delle profezie del Beato Pietro da Trequanda.

Predisse anche la sua morte e disse ai frati come avrebbero potuto accorgersi del suo trapasso.

La sua fama fu grande tra i contemporanei sia per le sue straordinarie doti di predicatore sia per il dono della profezia sia per i favori che Dio gli accordava concedendo attraverso lui grandi miracoli. Così nel periodo delle grandi pestilenze che colpirono la Toscana si recò a Montenero ove la popolazione aveva abbandonato le case e si era rifugiata in piena campagna. Radunò la gente ed uscito dalla preghiera e dalla meditazione rassicurò che Dio avrebbe fatto loro la grazia della salute. E così avvenne; a Montenero, come a Siena, a Cetona, a Seggiano.

Sinalunga fu teatro di guarigioni: guarì un bambino con l’imposizione delle mani; nella cappella del convento dei frati impose le mani sulla testa di un bimbo cieco che riacquistò la vista.

A Cetona guarì un uomo gravemente infermo dalle gambe ed un bambino di tre anni, muto, dalla febbre quartana. La sorella del bambino fu liberata da quello che si diceva “guasta dalle streghe”.

Fu anche esorcista potente per volontà divina e liberò molti ossessi anche solo con la preghiera a distanza.

Schivo per natura asseriva che non è l’uomo che fa i miracoli, è Dio che li concede; fu così certo di questa condizione di servo che si rifiutava persino di toccare i malati, perché per umiltà diceva che non aveva il potere di sanare e perché non si dicesse che “lui faceva i miracoli”, per non essere trasformato dalla gente in idolo.

San Bernardino da Siena

San Bernardino da Siena

San Bernardino da Siena (Massa Marittima, Grosseto, 8 settembre – L’Aquila, 20 maggio 1444), patrono della nostra chiesa.

Canonizzato nel 1450, cioè a soli sei anni dalla morte, era nato nel 1380 a Massa Marittima, dalla nobile famiglia senese degli Albizzeschi. Rimasto orfano dei genitori in giovane età fu allevato a Siena da due zie. Frequentò lo Studio senese fino a ventidue anni, quando vestì l’abito francescano. In seno all’ordine divenne uno dei principali propugnatori della riforma dei francescani osservanti. Banditore della devozione al santo nome di Gesù, ne faceva incidere il monogramma «YHS» su tavolette di legno, che dava a baciare al pubblico al termine delle prediche. Stenografati con un metodo di sua invenzione da un discepolo, i discorsi in volgare di Bernardino sono giunte fino a noi. Aveva parole durissime per quanti «rinnegano Iddio per un capo d’aglio» e per «le belve dalle zanne lunghe che rodono le ossa del povero». Anche dopo la sua morte, avvenuta alla città dell’Aquila, nel 1444, Bernardino continuò la sua opera di pacificazione. Era infatti giunto morente in questa città e non poté tenervi il corso di prediche che si era prefisso. Persistendo le lotte tra le opposte fazioni, il suo corpo dentro la bara cominciò a versare sangue e il flusso si arrestò soltanto quando i cittadini dell’Aquila si rappacificarono. San Bernardino da Siena, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che per i paesi e le città d’Italia evangelizzò le folle con la parola e con l’esempio e diffuse la devozione al santissimo nome di Gesù, esercitando instancabilmente il ministero della predicazione con grande frutto per le anime fino alla morte avvenuta all’Aquila in Abruzzo.

Per ascoltare le prediche efficacissime di questo frate francescano di fine Medioevo, si radunavano folle di fedeli nelle piazze delle città, non potendoli contenere le chiese; e mancando allora mezzi tecnici di amplificazione della voce, venivano issati i palchi da cui parlava, studiando con banderuole la direzione del vento, per poterli così posizionare in modo favorevole all’ascolto dalle folle attente e silenziose.

Origini e formazione

San Bernardino nacque l’8 settembre 1380 a Massa Marittima (Grosseto) da Albertollo degli Albizzeschi e da Raniera degli Avveduti; il padre nobile senese era governatore della città fortificata posta sulle colline della Maremma.

A sei anni divenne orfano dei genitori, per cui crebbe allevato da parenti, prima dalla zia materna che lo tenne con sé fino agli undici anni, poi a Siena a casa dello zio paterno, ma fino all’età adulta furono soprattutto le donne della famiglia ad educarlo, come la cugina Tobia terziaria francescana e la zia Bartolomea terziaria domenicana.

Ricevette un’ottima educazione cristiana ma senza bigottismo, crebbe sano, con un carattere schietto e deciso, amante della libertà ma altrettanto conscio della propria responsabilità.

Studiò grammatica, retorica e lettura di Dante, dal 1396 al 1399 si applicò allo studio della Giurisprudenza nella Università di Siena, dove conseguì il dottorato in filosofia e diritto; non era propenso alla vita religiosa, tanto che alle letture bibliche preferiva la poesia profana.

Verso i 18 anni, pur seguitando a vivere come i coetanei, entrò nella Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, una compagnia di giovani flagellanti, che teneva riunioni a mezzanotte nei sotterranei del grande ospedale posto di fronte al celebre Duomo di Siena.

Aveva 20 anni quando Siena nel 1400 fu colpita dalla peste; e anche molti medici e infermieri dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, morirono contagiati, per cui il priore chiese pubblicamente aiuto.

Bernardino insieme ai compagni della Confraternita si offrì volontario, la sua opera nell’assistenza agli appestati durò per quattro mesi, fino all’inizio dell’inverno, quando la pestilenza cominciò a scemare.

Trascorsero poi altri quattro mesi, tra la vita e la morte, essendosi anch’egli contagiato; guarito assisté poi per un anno la zia Bartolomea diventata cieca e sorda.

La scelta Francescana                                                                                                       

In quel periodo cominciò a pensare seriamente di scegliere per la sua vita un Ordine religioso, colpito anche dall’ispirata parola di s. Vincenzo Ferrer, domenicano, incontrato ad Alessandria.

Alla fine scelse di entrare nell’Ordine Francescano e liberatosi di quanto possedeva, l’8 settembre 1402 entrò come novizio nel Convento di San Francesco a Siena; per completare il noviziato, fu mandato sulle pendici meridionali del Monte Amiata, al convento sopra Seggiano, un villaggio di poche capanne intorno ad una chiesetta, detto il Colombaio.

Il convento apparteneva alla Regola dell’Osservanza, sorta in seno al francescanesimo 33 anni prima, osservando appunto assoluta povertà e austerità, prescritte dal fondatore san Francesco; e con la loro moderazione, che li distingueva dagli Spirituali più combattivi nei decenni precedenti, gli Osservanti si opponevano al rilassamento dei Conventuali, con discrezione e senza eccessi.

Frate Bernardino visse al Colombaio per tre anni, facendo la professione religiosa nel 1403 e diventando sacerdote nel 1404, celebrò la prima Messa e tenne la prima predica nella vicina Seggiano e come gli altri frati del piccolo convento, prese a girare scalzo per la questua nei dintorni. Nel 1405 fu nominato predicatore dal Vicario dell’Ordine e tornò a Siena.

La sua formazione, studi, prime predicazioni

Dopo un po’, da Siena andò con qualche compagno nel piccolo romitorio di Sant’Onofrio sul colle della Capriola di fronte alla città; da tempo questo conventino era abitato da frati dell’Osservanza, qui fra’ Bernardino volle costruire un nuovo convento più grande, esso apparteneva all’Ospedale della Scala ed egli riuscì ad ottenerlo in dono, ma giacché i Frati Minori non potevano accettare donazioni, si impegnò a versare in cambio una libbra di cera all’anno.

Aveva circa 25 anni e restò alla Capriola per 12 anni, dedicandosi allo studio dei grandi dottori e teologi specie francescani; raccogliendo e studiando materiale ascetico, mistico e teologico.

In quel periodo, fu a contatto col mondo contadino ed artigiano delle cittadine dei dintorni, imparando a predicare per farsi comprendere da loro, con espressioni, immagini vivaci e aneddoti che colpissero l’attenzione di quella gente semplice, a cui affibbiava soprannomi nelle loro attività e stile popolano di vivere, per farli divertire; così la massaia disordinata era “madama Arrufola” e la giovane che ‘balestrava’ con occhiate languide i giovani dalla sua finestra, era “monna Finestraiola”.

Per una malattia alle corde vocali che per qualche anno lo colpì, rendendo la sua voce molto fioca, Bernardino da Siena, stava per chiedere di essere esonerato dalla predicazione. Ma inaspettatamente un giorno la voce ritornò non soltanto limpida, ma anche musicale e penetrante, ricca di modulazioni.

Sul colle della Capriola tornava spesso dopo i suoi lunghi viaggi di predicatore, per ritrovare li spirito di meditazione e per scrivere i “Sermoni latini”; formò molti discepoli fra i quali san Giacomo della Marca, san Giovanni da Capestrano, i beati Matteo da Agrigento, Michele Cercano, Bernardino da Feltre e Bernardino da l’Aquila.

Il grande predicatore popolare

Nel 1417 padre Bernardino da Siena fu nominato Vicario della provincia di Toscana e si trasferì a Fiesole, dando un forte impulso alla riforma in atto nell’Ordine Francescano.

Contemporaneamente iniziò la sua straordinaria predicazione per le città italiane, dove si verificava un grande afflusso di fedeli che faceva riempire le piazze; tutta la cittadinanza partecipava con le autorità in testa, e i fedeli affluivano anche dai paesi vicini per ascoltarlo.

Dal 1417 iniziò a Genova la sua prodigiosa predicazione apostolica, allargandola dopo i primi strepitosi successi, a tutta l’Italia del Nord e del Centro.

A Milano espose per la prima volta alla venerazione dei fedeli, la tavoletta con il trigramma; da Venezia a Belluno, a Ferrara, girando sempre a piedi, e per tutta la sua Toscana, dove ritornava spesso, predicò incessantemente; nel 1427 tenne nella sua Siena un ciclo di sermoni che ci sono pervenuti grazie alla fedele trascrizione di un ascoltatore, che li annotava a modo suo con velocità, senza perdere nemmeno una parola.

Da queste trascrizioni, si conosce il motivo dello straordinario successo che otteneva Bernardino; sceglieva argomenti che potevano interessare i fedeli di una città ed evitava le formulazioni astruse o troppo elaborate, tipiche dei predicatori scolastici dell’epoca. Per lui il “dire chiaro e breve” non andava disgiunto dal “dire bello”, e per farsi comprendere usava racconti, parabole, aneddoti; canzonando superstizioni, mode, vizi.

Sapeva comprendere le debolezze umane, ma era intransigente con gli usurai, considerati da lui le creature più abbiette della terra. Le conversioni spesso clamorose, le riconciliazioni ai Sacramenti di peccatori incalliti, erano così numerosi, che spesso i sacerdoti erano insufficienti per le confessioni e per distribuire l’Eucaristia.

Quando le leggi che reggevano un Comune, una Signoria, una Repubblica, erano ingiuste e osservarle significava continuare l’ingiustizia, Bernardino da Siena, in questi casi dichiarava sciolti dal giuramento i pubblici ufficiali e invitava la città a darsi nuove leggi ispirate al vangelo; e le città facevano a gara per ascoltarlo e ne accettavano le direttive.

Il trigramma del Nome di Gesù

Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico, la riassumeva nella devozione al Nome di Gesù e per questo inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle famiglie e delle varie corporazioni spesso in lotta tra loro.

Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.

Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città per predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.

Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco (ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)”, il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.

Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato; il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.

Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti cioè i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini; la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede; l’oro dell’amore.

Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.

Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania: 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.

Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di San Paolo: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.

Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.

Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.

In effetti ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

Quindi la novità di s. Bernardino fu di offrire come oggetto di devozione le iniziali del nome di Gesù, attorniato da efficaci simbolismi, secondo il gusto dell’epoca, amante di stemmi, armi, simboli.

L’uso del trigramma, comunque gli procurò accuse di eresie e idolatria, specie dagli Agostiniani e Domenicani, e Bernardino da Siena subì ben tre processi, nel 1426, 1431, e 1438, dove il francescano poté dimostrare la sua limpida ortodossia, venendo ogni volta assolto con il favore speciale di papa Eugenio IV, che lo definì “il più illustre predicatore e il più irreprensibile maestro, fra tutti quelli che al presente evangelizzano i popoli in Italia e fuori”.

Riformatore dell’Ordine Francescano

Bernardino, che fin dal 1421 era Vicario dei Frati Osservanti di Toscana e Umbria, nel 1438 venne nominato dal Ministro Generale dell’Ordine Francescano, Vicario Generale di tutti i conventi dell’Osservanza in Italia.

Nella sua opera di riforma, portò il numero dei conventi da 20 a 200; proibì ai frati analfabeti o poco istruiti, di confessare e assolvere i penitenti; istituì nel convento di Monteripido presso Perugia, corsi di teologia scolastica e di diritto canonico; s’impegnò a fare rinascere lo spirito della Regola di s. Francesco, adattandola alle esigenze dei nuovi tempi.

Rifiutò per tre volte di essere vescovo di diocesi, che gli furono offerte.

Gli ultimi anni, la morte

Nel 1442, sentendosi oltremodo stanco, soffriva di renella, infiammazione ai reni, emorroidi e dissenteria, rassegnò le sue dimissioni dalla carica, che aveva accettato per spirito di servizio verso l’Ordine.

Nel fisico sembrava più vecchio dei suoi 62 anni, aveva perso tutti i denti, tranne uno e quindi le gote gli si erano incavate, ma quell’aspetto emaciato l’aveva già a 46 anni, quando posò per un quadro dal vivo, oggi conservato alla Pinacoteca di Siena.

Libero da responsabilità riprese a predicare, nonostante il cattivo stato di salute; i senesi gli chiesero di recarsi a Milano per rinsaldare l’alleanza con il duca Filippo Maria Visconti contro i fiorentini; da lì proseguì poi per il Veneto, predicando a Vicenza, Verona, Padova, Venezia, scendendo poi a Bologna e Firenze, nella natia Massa Marittima predicò nel 1444 per 40 giorni.

Ritornato a Siena si trattenne per poco tempo, perché voleva ancora compiere una missione di predicazione nel Regno di Napoli, dove non si era mai recato, con l’intenzione di predicare anche lungo il percorso; accompagnato da alcuni frati senesi, toccò il Trasimeno, Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto, Rieti, ma già in prossimità de L’Aquila, il suo fisico cedette allo sforzo e il 20 maggio 1444 fu portato in lettiga al convento di San Francesco, dentro la città, dove morì quel giorno stesso a 64 anni, posto sulla nuda terra come s. Francesco, dietro sua richiesta.

Dopo morto, il suo corpo esposto alla venerazione degli aquilani, grondò di sangue prodigiosamente e a tale fenomeno i rissosi abitanti in lotta fra loro, ritrovarono la via della pace.

I frati che l’accompagnavano, volevano riportare la salma a Siena, ma gli aquilani, accorsi in massa lo impedirono, concedendo solo gli indumenti indossati dal frate.

Nelle città dov’era vissuto, furono costruiti celebri oratori, chiese, mausolei, come quello di S. Bernardino nella omonima chiesa dell’Aquila, dove riposa.

Sei anni dopo la morte, il 24 maggio 1450, festa di Pentecoste, papa Niccolò V lo proclamò santo nella Basilica di S. Pietro a Roma. San Bernardino è compatrono di Siena, della nativa Massa Marittima, di Perugia e dell’Aquila.

Una città in California porta il suo nome. È invocato contro le emorragie, la raucedine, le malattie polmonari. La sua festa si celebra il 20 maggio.

San Francesco

San Francesco

San Francesco d’Assisi nasce ad Assisi tra il dicembre 1181 e il settembre 1182. Alcuni indicano come probabile data di nascita il 26 settembre 1182. Il padre, Pietro Bernardone dei Moriconi, è un ricco mercante di stoffe e spezie, mentre la madre, Pica Bourlemont, è di estrazione nobile. La leggenda racconta che Francesco viene concepito durante un viaggio in Terra Santa della coppia, ormai in là con gli anni. Battezzato dalla madre Giovanni, vedrà mutato il suo nome in Francesco al ritorno del padre, assente per un viaggio di affari in Francia.

Studia il latino e il volgare, la musica e la poesia e il padre gli insegna anche il francese e il provenzale con l’intento di avviarlo al commercio. Ancora adolescente si ritrova a lavorare dietro il bancone della bottega del padre. A vent’anni partecipa alla guerra che vede contrapposte le città di Assisi e Perugia. L’esercito in cui combatte Francesco viene sconfitto e lui rimane prigioniero per un anno. La prigionia è lunga e difficile, e torna a casa gravemente ammalato. Una volta ripresosi grazie alle cure materne, parte nuovamente al seguito di Gualtiero da Brienne, diretto a sud. Ma durante il cammino ha la prima apparizione, che lo induce ad abbandonare la vita da soldato e a tornare indietro ad Assisi.

La sua conversione ha inizio nel 1205. Si raccontano vari episodi risalenti a questo periodo: da quello in cui, nel 1206, scambia i propri abiti con quelli di un mendicante romano e comincia a chiedere l’elemosina davanti alla Basilica di San Pietro, al famoso incontro con il lebbroso sulla piana di fronte ad Assisi. Gli amici che non riconoscono più in lui l’allegro compagno di scorribande di un tempo lo abbandonano, e il padre che comincia a capire quanto siano infondate le aspirazioni che nutre nei suoi confronti, entra in aperto contrasto con lui.

Francesco medita nelle campagne intorno ad Assisi ed un giorno, mentre è in preghiera nella Chiesetta di San Damiano, il crocifisso si anima per chiedergli di riparare la chiesa in rovina. Per ottemperare alla richiesta divina, carica un cavallo di stoffe prese nella bottega paterna e le vende. Poi rendendosi conto che il ricavato non è sufficiente, vende persino il cavallo. Dopo questo episodio lo scontro con il padre si fa sempre più duro, fino a quando Pietro decide di diseredarlo. Ma Francesco sulla pubblica piazza di Assisi rinuncia ai beni paterni: è il 12 aprile del 1207.

Da questo momento abbandona Assisi e si dirige a Gubbio, dove, proprio fuori le mura, affronta il terribile lupo che getta il terrore tra gli abitanti della città. Riesce ad ammansire il feroce animale, semplicemente parlandogli. Si attua così quello che viene considerato il suo primo miracolo.

Francesco si cuce da solo una camicia di tela grezza, legata in vita da una cordicella a tre nodi, indossa dei sandali e rimane nei territori di Gubbio fino alla fine del 1207. Porta sempre con sé una sacca piena di strumenti da muratore, con i quali restaura personalmente la chiesetta di San Damiano e la Porziuncola di Santa Maria degli Angeli, che diventa la sua abitazione. E’ questo il periodo in cui concepisce i primi abbozzi di quella che poi diventerà la Regola Francescana. La lettura del Vangelo di Matteo, Capitolo X, lo ispira al punto da indurlo a prenderlo alla lettera. Il passo ispiratore dice: “Non vi procurate oro argento o denaro per le vostre tasche, non una borsa da viaggio, né due tuniche, né calzature e neppure un bastone; poiché l’operaio ha diritto al suo sostentamento!”.

Il primo discepolo ufficiale di Francesco è Bernardo da Quintavalle, magistrato, seguito poi da Pietro Cattani, canonico e dottore in legge. A questi primi due discepoli si uniscono: Egidio, contadino, Sabatino, Morico, Filippo Longo, prete Silvestro, Giovanni della Cappella, Barbaro e Bernardo Vigilante e Angelo Tancredi. In tutto i seguaci di Francesco sono dodici, proprio come gli apostoli di Gesù. Eleggono a loro convento prima la Porziuncola e poi il Tugurio di Rivotorto.

L’ordine francescano nasce ufficialmente nel luglio del 1210, grazie a papa Innocenzo III. La regola principale dell’ordine francescano è l’assoluta povertà: i frati non possono possedere nulla. Tutto quello che serve loro, compreso il rifugio, deve essere frutto di donazione. A fornire ai francescani un tetto sulla testa ci pensano i benedettini che, in cambio di un cesto di pesci all’anno, concedono loro la Porziuncola in uso perpetuo.

Nel 1213 Francesco d’Assisi parte per recarsi in missione prima in Palestina, poi in Egitto, dove incontra il sultano Melek el-Kamel, ed infine in Marocco. Uno dei suoi viaggi lo porta fino al santuario di San Giacomo di Compostela in Spagna, ma è costretto a ritornare indietro per l’aggravarsi del suo stato di salute.

Nel 1223 si dedica alla riscrittura della regola dell’ordine, impiegandovi tutto l’autunno. Purtroppo frate Leone e frate Bonifazio la perdono, ma Francesco si rimette di buon grado all’opera. Sarà papa Onorio III a riconoscere la regola francescana come Legge per la Santa Chiesa.

Nel dicembre del 1223 Francesco organizza anche la prima natività in una grotta, che è ormai considerata il primo presepio della storia. L’anno successivo compie il miracolo dell’acqua che sgorga da una roccia e riceve le stigmate.

Nonostante la stanchezza e la sofferenza fisica, compone anche il famoso “Cantico dei Cantici”, che contribuisce a consacrarlo nell’immaginario collettivo come il frate che predica agli uccelli.

La salute intanto peggiora sempre di più: è addirittura quasi cieco. Francesco d’Assisi muore nella sua chiesetta della Porziuncola il 3 ottobre del 1226 a soli 44 anni.

Il 16 luglio del 1228 viene dichiarato Santo da Papa Gregorio IX.

Storia e L’arte

Storia e L’arte

Il Convento di San Bernardino si trova a Sinalunga, presso Siena. Il complesso fu eretto nel 1449 ed è sede dei Frati minori di San Francesco. La chiesa ha una facciata a bozze regolari in pietra, che nel corso del 1900 ha subito diversi rimaneggiamenti. Il porticato esterno, semplice ma ricco di armonia, ha delle colonne ottagonali in mattoni che terminano in capitelli ionici in pietra. L’interno ha un’unica navata arricchita da decorativi stucchi risalenti al Settecento, periodo che coincide con il restauro del Convento.

Vi sono tre cappelle laterali, ciascuna con una statua lignea policroma sopra l’altare raffigurante il dedicatario: la prima a destra è dedicata al Sacro Cuore di Gesù ed è l’unica a pianta rettangolare; in corrispondenza della seconda campata, vi sono due cappelle semicircolari, dedicate rispettivamente a San Francesco d’Assisi (a destra) e all’Immacolata (a sinistra); in ciascuna delle pareti laterali delle due campate intermedie si apre un confessionale. La quinta campata corrisponde al presbiterio, rialzato di alcuni gradini, che ospita l’altare maggiore in marmi policromi, sormontato da un Crocifisso ligneo; nella retrostante abside, a pianta rettangolare, trova luogo il coro in legno intagliato.

Sulla cantoria posta a ridosso della parete di fondo dell’abside, in posizione soprastante il coro ligneo, si trova l’organo a canne, costruito nel 1927 dai Fratelli Aletti.

Cappella della Madonna del Rifugio

Dirimpetto alla cappella del Sacro Cuore, sulla parete sinistra della prima campata della navata si apre un arco che costituisce l’accesso alla cappella della Madonna del Rifugio, ricostruita in stile rinascimentale tra il 1854 e il 1858; l’ambiente, a pianta ottagonale, presenta, a ridosso della parete di fondo, l’altare marmoreo che ospita la venerata icona, attribuita a Sano di Pietro. Questo luogo è venerato da tutta la zona circostante, in quanto Maria Santissima del Rifugio è patrona e protettrice della Val di Chiana e della diocesi di Montepulciano – Chiusi – Pienza. L’immagine sacra della Madonna, che fu lasciata a Sinalunga nel 1460 da Pietro da Trequanda, che la portò via dalla Terra Santa.

Entro due nicchie, poste una di fronte all’altra, vi sono altrettanti altari laterali ottocenteschi, dedicati a San Bernardino da Siena (a sinistra) e a Sant’Antonio di Padova (a destra). L’ambiente è voltato con una cupola ottagonale priva di lanterna. Nella cappella sono custodite importanti opere d’arte, appese alle pareti laterali: l’Annunciazione di Benvenuto di Giovanni (1470), il Battesimo di Cristo di Guiduccio Cozzarelli (1483 circa), l’Incoronazione della Vergine col Bambino tra i Santi Simone e Taddeo dello stesso artista (1486).

Provincia Polacca

Provincia Polacca

La quinta e più giovane provincia dei frati minori in Polonia, intitolata a san Francesco d’Assisi fu eretta il 19 marzo 1991. È nata dai conventi e dei frati appartenenti da quattro già esistente provincie religiose: sant’Edvige a Breslavia, l’Assunzione di B.V.M. a Katowice, Santa Maria degli Angeli e d’Immacolata Concezione di B.V.M. a Cracovia.

La nuova provincia religiosa si espande sul territorio di Voivodato della Grande Polonia, Voivodato della Cuiavia-Pomerania, Voivodato di Lubusz, Voivodato della Masovia, Voivodato della Pomerania, Voivodato della Varmia-Masuria. Vivono nei 25 conventi a: Poznań, Hel, Gdańsk, Wejherowo, Wieżyca, Kadyny, Miłakowo, Olsztyn, Barczewo, Brodnica, Toruń, Pakość, Wronki, Woźniki, Jarocin, Osieczna, Wschowa, Józefów e poi Bludenz e Dornbirn (Austria), Chianciano Terme e Sinalunga (Italia), Vasteros e Borås (Svezia), Altenkunstadt (Germania). I frati svolgono servizio in 13 paesi oltre la Polonia: Austria, Bolivia, Israele, Kazakhistan, Libia, Germania, Repubblica Centrale di Africa – Congo, Russia, Canada, Svizzera, Svezia, Italia e Cuba.

Attualmente la Provincia religiosa ha circa 200 frati. La Provincia possiede le proprie strutture della formazione. La casa del postulandato a Wschowa, il noviziato a Osieczna e Seminario Maggiore a Wronki, che dal 1998 fa parte delle strutture della Facoltà Teologica dell’Università di Adam Mickiewicz a Poznan. Lì si formano i candidati al sacerdozio, come anche i frati semplici.

Sul territorio della Provincia esistono i santuari: della passione del Signore (con il Calvario) a Wejherowo e Pakość, santuari mariani coronati a Wejherowo, Osieczna, Toruń e Sinalunga, di sant’Antonio di Padova a Brodnica e Chianciano Terme. Le feste principali in questi santuari sono legate a Wejherowo alle solennità di Ascensione del Signore, della Trinità, della guarigione dei malati, dell’assunzione della B.V.M.; della esaltazione della Santa Croce e durante la Quaresima si possa partecipare nei Misteri della Passione del Signore. A Pakość, soprattutto si festeggia la festa del ritrovamento della Santa Croce e della esaltazione della Santa Croce. In quel posto si venera più grande pezzo della reliquia della Santa Croce in Polonia. A Osieczna si festeggia la festa della Porziuncola (Santa Maria degli Angeli).

I frati lavorano nella parrocchie, svolgono il servizio dei missionari popolari e ad gentes. Lavorano come catechisti, cappellani, professori e docenti alle Università. Partecipano nei progetti “Verba Sacra”, della preghiera delle cattedrali polacche, nella Verba Sacra della Biblia in lingua casciuba. Evangelizzano tramite le catechesi settimanali via internet: Bez sloganu. Sono anche custodi del museo missionario a Poznan. Come frutto del loro studio sono editori di Studia Franciszkańskie, Biblioteka Studiów Franciszkańskich, Franciszkański świat e Zeszyty ekologiczne. Svolgono anche l’attività di caritas delle mense per i poveri, oratori per i bambini poveri o delle famiglie in difficoltà, oppure la dormitorio per gli studenti poveri o malati di cancro.

Info: http://www.franciszkanie.net/

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